giovedì 16 giugno 2016

Cosmetici “scaduti” e PAO

Cosmetici “scaduti” e PAO

Cosmetici “scaduti” e PAO

Quando 13 anni fa gli archeologi inglesi impegnati in uno scavo dei resti di un vecchio (150 AD) tempio romano vicino a Londra hanno trovato un scatoletta metallica, tonda, piatta contenente una crema bianca con ancora i segni delle ditate dentro, possono essersi domandati se qualche giovane archeologa durante gli scavi non aveva perso un suo cosmetico autoprodotto.
- Il PAO questo sconosciuto
- Rischi instabili
- Consumo consapevole
Le dimensioni e la qualità del contenitore oltre che la texture della crema contenuta non facevano pensare ad un cosmetico che si era conservato per quasi 2000 anni fa.
Ho già parlato in questo articolo della difficoltà per il consumatore di capire che età potrebbe avere un cosmetico. Nel cosmetico europeo se il produttore stima che il cosmetico chiuso non cambi le sue caratteristiche, soprattutto in termini di sicurezza, in 30 mesi ( 2 anni e mezzo ) non si deve comunicare una data di scadenza. Come dire che si può considerare praticamente ETERNO. Per rimediare la norma europea ha introdotto il PAO cioè una scadenza del cosmetico ( almeno ! ) dopo l’apertura.
nel cosmetico questo simbolo può precedere la data di scadenza
Il cosmetico eterno è una assurdità, a me sembra evidente, ma ho incontrato vari microbiologi e professionisti della cosmesi, soprattutto americani, che non la pensano come me e considerano il PAO un orbello burocratico inutile.
Per non perdere tempo cercando di fargli capire che un cosmetico stabile senza alcun limite di tempo, soprattutto dopo essere stato aperto, non può esistere, li ho invitati a ridiscutere la cosa assieme Krueger e Dunning ( i teorici dell’incompetenza inconsapevole ) tra un miliardo di anni. Nel frattempo sempre più marche cosmetiche dichiarano esplicitamente ” da consumarsi preferibilmente prima di..”, anche quando la durata prevista del prodotto è oltre i 30 mesi ed anche in contemporanea al PAO.


Il PAO questo sconosciuto
Se la durata del prodotto va oltre i 30 mesi non è obbligatorio indicarla, ma è obbligatorio indicare il PAO cioè, con il simbolino del vasetto aperto, per quanti mesi dopo l’apertura del prodotto è “garantita” la stabilità. Mi sembra una procedura di codifica che si affida molto all’intelligenza e consapevolezza del consumatore oltre che alla competenza ed onesta del produttore.
Ci sono delle criticità:
  • il consumatore dovrebbe segnarsi la data di apertura del prodotto,
  • il consumatore non ha chiaro che rischi comporta il superamento dei limiti temporali di stabilità indicati dal PAO.
  • le procedure per definire la durata del PAO vengono decise arbitrariamente dal produttore.
Quando diventò operativa la norma, le aziende cosmetiche si trovarono davanti al problema di definire un parametro ritenuto importante per la salute del consumatore, senza alcuna specifica o linea guida sul come calcolarlo.
Poi che tipo di deterioramento si doveva considerare per dire che il cosmetico poteva essere utilizzato dal consumatore x mesi dopo l’apertura? un cosmetico che cambia il suo colore ed il suo profumo si considera deteriorato e non usabile?  Certamente si devono considerare i deterioramenti che comportano un possibile rischio per la salute del consumatore, in particolare l’instabilità microbica e la perdita della capacità di filtrare le radiazioni solari dei filtri, ma anche altri fattori chimico fisici possono rientrare nella valutazione del PAO.
Un’altra incertezza e criticità è relativa alle “ragionevoli condizioni di uso” con cui si ipotizza che il cosmetico venga usato. Il dito che pesca la crema nel vasetto fa una bella differenza se è sporco o pulito. Così come molto diversa è la stabilità di un prodotto conservato in frigorifero al buio o sotto al parabrezza di un’auto che gira per tutto il mese di Luglio in Sicilia.
Di fronte a tutte queste variabili ed incertezze, ricordo che quando entrò in vigore la norma europea, in alcune aziende, tutto si tradusse nella richiesta del marketing: datemi un PAO più lungo possibile, perché, per quel poco che ne capisce il consumatore, un numero più alto viene percepito come una performance più alta.
Difficile far capire ai markettari, in certe aziende, che per quanto il PAO sia un numero poco sensibile, cioè uno di quei dati in etichetta che i consumatori non leggono e che anche lo leggessero non farebbe grandi differenze, non ha senso metterci dei numeri a casaccio solo per compiacere le vendite.
Soprattutto ora , che vanno di moda cosmetici conservati con sistemi meno stabili se non addirittura volatili, garantire la stabilità antimicrobica di prodotti aperti per molti mesi è decisamente più complesso.

Rischi instabili
La capacità del prodotto di mantenere invariate le sue caratteristiche nel tempo è definita : stabilità.
Tecnicamente la stabilità è rilevante per la qualità del cosmetico che non è soggetto a varie degradazioni:
  • degradazione della struttura texture/consistenza
  • degradazione da contaminazione e proliferazione microbica
  • degradazione chimico/fisica da reazioni di ossidazione / fotocatalitiche ecc.
Un cosmetico instabile, nel tempo, può :
  • separare l’emulsione, precipitare, flocculare, ricottare, cremaggiare, sineresizzare ( gli ultimi 3 termini fanta-tecnici me li sono inventati sul momento ma chi lavora con le emulsioni sa cosa intendo),
  • smollare/liquefare/spappolare un gel.
  • addensarsi fino a diventare quasi solido,
  • sviluppare muffe o contaminazioni di microorganismi patogeni o no,
  • cambiare colore,
  • cambiare il profumo e via di seguito.
fumonisin.jpg
un prodotto senza un adeguato sistema conservante può formare muffe
Di queste instabilità, quella sicuramente rilevante per la sicurezza del consumatore è quella microbica, infatti i microorganismi , patogeni o no, hanno la splendida attitudine nel tempo di riprodursi e crescere di numero, proprio come i conigli o come una serie di fibonacci. Insomma, magari all’inizio col dito ne entrano due nel vasetto, poi dopo 2 mesi sono 2 milioni. Per questo i cosmetici devono possedere un sistema anti-microbico efficiente, in genere dipendente dai cosiddetti conservanti.
Il rischio di infettarsi attraverso la pelle integra non è altissimo, la pelle svolge bene il suo ruolo di barriera, ma se si pensa a cosmetici a contatto con le mucose di occhi, genitali, bocca o alla pelle lesa, con il rischio di contaminazione microbica di un cosmetico non si può scherzare.
I rari ma tragici casi di infezione, cecità e decessi per lush contaminati da pseudomonas restano scolpiti nella memoria della cosmesi industriale.


Consumo consapevole
Di tutte queste elucubrazioni su stabilità, data di scadenza, PAO ecc.. al consumatore in genere interessa solo sapere se il cosmetico che ha nell’armadietto da tot mesi o anni può essere ancora utilizzato.
Alcune indicazioni sintetiche:
Viviamo in un universo probabilistico, le indicazioni sulla stabilità nel tempo dei cosmetici sono stime, fatte più o meno accuratamente, del fatto che il cosmetico PUÒ essersi nel tempo deteriorato compromettendo la sua qualità e sicurezza. Non sono i timer di bombe ad orologeria che indicano il momento esatto in cui un cosmetico diventa letale.
Un cambiamento nel tempo del colore, odore, consistenza di un cosmetico è comunque un indicatore di instabilità non rassicurante.
Nei cosmetici che possono entrare a contatto con gli occhi, il rischio per la salute è molto maggiore.
È necessaria maggiore attenzione alle indicazioni di durata prima e dopo l’apertura di mascara, lush e prodotti occhi.
In genere privilegiare nell’acquisto i cosmetici che dichiarano esplicitamente … da consumarsi preferibilmente entro… o la data di produzione del lotto.
Non sono cosmetici più sicuri, ma denotano aziende e marche che non credono che un consumatore, senza esserne informato, debba comprare un cosmetico che è stato anche 20 anni in un magazzino. Se si formano muffe nel prodotto, va buttato comunque e se si formano entro i tempi dichiarati dal produttore con il PAO o con il ” da consumarsi entro…” pensarci 5 volte prima di ricomprare e utilizzare cosmetici dello stesso produttore. Anche se non è il mio settore direi che questa regola vale anche per l’alimentare.
Rodolfo Baraldini
pubblicato 12 giugno 2016
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