martedì 23 agosto 2016

Cosmetici cinesi: Herborist

Cosmetici cinesi: Herborist

Cosmetici cinesi: Herborist

 
Siamo invasi da prodotti cinesi, non solo cosmetici, e il più delle volte hanno una etichetta o un nome che fa pensare che siano prodotti italiani, americani, tedeschi.- Made in China: il luogo comune
- Norme Cina vs. UE
- Il caso Herborist
- Prodotti best seller
Ci sono 2 ragioni fondamentali:
  1. Le produzioni cinesi possono raggiungere un miglior rapporto qualità/costo.
  2. Trasferendo know-how produttivo in Cina si agevola anche l’apertura dei propri marchi all’immenso mercato cinese.
Le leggi e gli equilibri dell’economia sono più chiari e semplici di quello che sembra. La difesa ideologica, nazionalista, di un modello di mercato autarchico non può che portare ad un mercato meno efficiente ed ad un calo della qualità. Con l’obiettivo della ricerca di un miglior rapporto qualità/costo, la delocalizzazione produttiva si è focalizzata su comparti industriali dove era alta l’incidenza del costo di mano d’opera ( vestiti, calzature ecc..), ma anche quelli dove erano più stringenti gli standard e le procedure di qualità ( elettronica, PC, Smartphone ). In passato c’era la tendenza a mascherare come l’effettiva produzione fosse in un paese non associato alla marca. Oggi ci sono sempre meno problemi, al di là delle norme che imporrebbero l’informazione del consumatore sull’effettivo paese di origine di un prodotto, a mostrare come la Cina sia diventata una vera e propria “arma di produzione di massa”.
Dal mercato alla politica: le corde del più becero nazionalismo tornano a suonare.
Il marketing può sfruttare il Made in , come un marchio di qualità nell’export, quando al sistema paese, generalizzando, si attribuiscono valori come: efficienza, qualità, serietà, onestà, creatività ecc. Sul mercato domestico invece il Made in può sfruttare anche argomenti che vanno dalle affiliazioni nazionalistiche o patriottiche, a presunti interessi sociali (se compri italiano crei posti di lavoro in Italia, ecc.).
Del peso che ha il “country of origin” nel cosmetico ho parlato in Made in La La Land .

Made in Cina: il luogo comune


Contro il Made in China è in corso una vera e propria campagna di opinione.
Gli stessi che demonizzano il made in China considerandolo sinonimo di bassa qualità, non hanno nessun problema a pensare al proprio smartphone o PC, prodotto in Cina, come al migliore possibile. La qualità di un prodotto industriale dipende più dall’onestà e competenza del produttore che da dove si trovi lo stabilimento produttivo. Il sistema paese e soprattutto l’indotto industriale, in Cina si è molto diffuso il sistema dei distretti ispirato dal modello italiano, contano sia per gli standard regolatori ed industriali che definiscono la qualità dei prodotti e dei servizi sia per la supply chain da cui dipende ogni produzione industriale. Ma questo non significa, quando non ci sono limitazioni nel know-how,  che non sia possibile una qualità industriale di eccellenza in un qualunque paese con i requisiti minimi di industrializzazione. Prima Korea e Taiwan, poi Cina, Vietnam, Malesia, Indocina, India, Pakistan, centro e sud America sono diventati sedi di produzioni industriali sempre più importanti. La discriminante in genere è il costo del lavoro basso nonostante la qualificazione della mano d’opera e la supply chain corta. Conta molto anche che alcuni costi industriali, dipendenti da norme sul inquinamento o sulla sicurezza meno stringenti di quelle nei paesi avanzati, siano decisamente inferiori. In genere le produzioni industriali destinate all’esportazione in questi paesi possono sottostare a standard di qualità molto superiori di quelli nazionali.

Norme cosmetiche Cina vs. UE

La normativa che regola la sicurezza del cosmetico in Cina è una delle poche dove, contrariamente allo standard occidentale, lo stato interviene pesantemente con controlli e restrizioni. Infatti la Cina impone l’utilizzo nel cosmetico solo di ingredienti cosmetici preventivamente “autorizzati” dallo stato. La lista-inventario degli ingredienti cosmetici autorizzati in Cina è stata fino al 2012 estremamente scarna comprendendo solo 3703 ingredienti.  La registrazione ed approvazione di un nuovo ingrediente, almeno per le industrie estere è estremamente costosa e lunga.
In pratica, per essere approvati, si devono produrre tutte le specifiche di innocuità e purezza tipiche della farmacopea o della registrazione di un farmaco. Viste le dimensioni in continua crescita della cosmesi cinese nel 2015 l’inventario degli ingredienti cosmetici cinesi redatto dalla China Food and Drug Administration è arrivato a 8783 voci. L’approvazione preventiva governativa degli ingredienti si riflette anche sugli obblighi più stringenti sui cosmetici di importazione.
Da questo nasce l’annoso problema dei test su animali obbligatori per i cosmetici cinesi. Nel 2014, anche alla luce dell’entrata in vigore del regolamento UE che bandisce la vendita nella UE di qualunque cosmetico testato su animali, le norme cinesi hanno tolto l’obbligo dei test su animali nelle produzioni locali di cosmetici non funzionali ( dentifrici, prodotti quasi drug devono ancora sottostare a questo obbligo ). Questo comporta che un cosmetico prodotto in Cina può entrare nella UE senza violare le norme sul bando dei test su animali. Norme così rigide sulla sicurezza del cosmetico, in Cina, rappresentano probabilmente un tentativo di proteggere l’immaturo mercato interno dall’invasione di cosmetici di importazione, ma possono essere anche conseguenza di come cultura e prescrizioni dell’antica medicina cinese o della sua farmacopea possano debordare nel cosmetico.
Una serie di scandali sulla sicurezza dei prodotti alimentari e cosmetici in Cina, oltre che una diffusa diffidenza tra gli stessi cinesi verso i prodotti nazionali rispetto ai prodotti di importazione, fanno pensare che anche se le norme sul cosmetico sono formalmente più stringenti, la loro applicazione ed osservanza non è sufficiente per rassicurare il consumatore.
Anche alcune prestigiose marche cosmetiche di importazione sono risultate, nei test cinesi, non in regola per il tenore di metalli pesanti e mercurio.
Comunque, per garantirsi una maggiore penetrazione nel mercato cinese, molte marche leader mondiali hanno trasferito le loro produzioni in China. Il consumatore cinese è attratto e rassicurato dal Marchio internazionale, es. Nivea, ma la produzione effettiva del cosmetico è in Cina.
Nel 2015 per sostenere la crescita o conseguenza della crescita del mercato della cosmesi in Cina, i dazi sull’importazione dei cosmetici sono stati abbassati dal 5% al 2%.

Il caso Herborist

In Cina si comprano molti cosmetici, in valore quasi 3 volte più che in Italia. Ma il potenziale mercato è enorme. Oltre all’enorme numero di consumatori si devono considerare aspetti culturali, comuni ad altre popolazioni asiatiche, dove la cura di sé rientra nelle routine quotidiane. L’attuale spesa pro capite per il cosmetico in Cina è circa un decimo di quella giapponese.  Ci sono ampi margini per una crescita.
Grazie anche ai prezzi più competitivi, sul mercato interno le marche cinesi hanno conquistato quote, anche se, specie in segmenti ad alta contribuzione, non hanno ancora raggiunto i volumi di vendita dei leader koreani, europei, japponesi ed americani.
Marche come Yunifang, Pechoin, Inoherb, KanS, Chinfie, Chcedo, Houdy, Caisy, Longrich, a noi sono per lo più sconosciute ma hanno crescite anno su anno dell’ordine del 10-30% e fanno si che in Cina ormai oltre il 50% dei cosmetici venduti siano di marche cinesi.
La scelta del posizionamento “premium” o “lusso” comporta la massimizzazione del profitto, ma anche la qualificazione del brand
Particolare il caso di Herborist
o 佰草集 (“Bai Cao Ji”), che in cinese vuol dire la stessa cosa, cioè: “erborista”.
Herborist è una delle marche del più grande gruppo cinese della cosmesi, la Shanghai Jahwa United . Si tratta di un gruppo da oltre 865 milioni di USD di vendite annue (2015) capace di creare la prima marca cinese nel segmento premium, posizionata per competere, soprattutto sul mercato interno, con le grandi marche internazionali della cosmesi.
Con migliaia di punti vendita qualificati in Cina ritengo sia l’unica marca cosmetica cinese che ha trovato un canale distributivo anche nella UE. I suoi prodotti si possono trovare nei negozi Sephora ed in alcuni paesi europei nelle profumerie Douglas.
La vendita anche in occidente è un argomento “forte” per una marca cinese.
Sapere che la stessa crema è venduta anche a Parigi è un bel supporto per la giovane ricca e diffidente cliente cinese che entra in una profumeria nel Guangdong ( uno dei più sviluppati distretti industriali ).
Herborist non è l’unica marca cinese che ha avuto successo ispirandosi alla medicina tradizionale cinese ed ai suoi rimedi erbali, ma è l’unica che l’ha fatto con un posizionamento premium, quindi a prezzi 2 o 5 volte superiori a quelli dei concorrenti cinesi.
I continui riferimenti ai rimedi erbali avvicinano la marca al segmento “green”, per come è percepito in occidente, anche se in Cina le specifiche di cosa è un cosmetico “green” sono diverse da quelle che circolano da noi.
La crescita di fatturato del gruppo, nel 2015, ha subito un rallentamento e i risultati delle vendite in Europa, nonostante gli sforzi di Sephora, non mi sembrano significativi.
Il mercato europeo non è un mercato facile per una marca asiatica. Le giapponesi Shiseido e Kanebo sono eccezioni. Anche il gigante koreano, Amore pacific, che ha impiantato una sua fabbrica di produzione in Francia ha volumi di vendite in Europa relativamente piccoli.
Vista l’importanza che ha in Cina il webmarketing cosmetico, sospetto che per sostenere il lancio europeo della marca Herborist siano stati distribuiti centinaia di campioni gratuiti a tante beauty blogger. Oggi la presenza della marca  in rete è minima ed anche i siti della marca o di Sephora appaiono sguarniti, non aggiornati, come se, forse per i risultati del gruppo inferiori alle attese, l’operazione “vendita in Europa di una marca cinese”, interessi di più per le ricadute sul mercato domestico che per l’effettiva redditività in Europa.
Prezzi e informazioni rilevate in rete nei siti della marca o nei siti di vendita on-line.
Ingredienti “erbali” in caratteri color Verde.
Ingredienti che mi lasciano perplesso evidenziati in Giallo.
Commenti e opinioni personali nei riquadri rosa.

T’ai Chi Mask

Fonte
Prezzo 55 € per 290 g. corrispondenti a 189,65€/Kg.
Black T’ai Chi Mask
Ingredienti : Aqua, Kaolin, Glycerin, Ci 77267, Hydroxypropyl Starch Phosphate, Coix Lacryma-Jobi Seed, Propylene Glycol, Xanthan Gum, Coix Lacryma-Jobi Seed Oil, Diazolidinyl Urea, Isopropyl Palmitate, Ginkgo Biloba Leaf Extract, Hydroxyethylcellulose, Perilla Ocymoides Seed Oil, Methylparaben, Tourmaline, Propylparaben, Crocus Sativus Flower Extract, Bht, Butylene Glycol, Paeonia Lactiflora Root Extract, Tribulus Terrestris Fruit Extract, Liquidambar Styraciflua Fruit Extract, Ci 77480, Morus Alba Bark Extract, Sophora Japonica Root Extract, Prunus Persica Leaf Extract, Salix Alba Bark Extract.
White T’ai Chi Mask:
Ingredients : Aqua, Glycerin, Ci 77891, Dimethicone, Paraffinum Liquidum, Diisostearyl Malate, Acrylates Copolymer, Petrolatum, Ceteareth-20, Glyceryl Stearate, Pentaerythrityl Distearate, Polyacrylamide, Simmondsia Chinensis Seed Oil, Cetyl Dimethicone, Tourmaline, C13-14 Isoparaffin, Propylene Glycol, Olea Europaea Fruit Oil, Diazolidinyl Urea, Sodium Hyaluronate, Laureth-7, Xanthan Gum, Methylparaben, Hydrogenated Dimer/Dilinoleyl/Dimethylcarbonate Copolymer, Bht, Castoryl Maleate, Sodium Astrocaryum Murumuruate, Isopropyl Palmitate, Propylparaben, Benincasia Cerifera Seed Extract, Amomum Aromaticum Fruit Extract, Ginkgo Biloba Leaf Extract, Perilla Ocymoides Seed Oil, Atractyloides Macrocephala Root Extract, Paeonia Lactiflora Root Extract, Bletilla Striata Root Extract, Butylene Glycol, Poria Cocos Extract, Inula Britannica Flower Extract, Atractyloides Macrocephala Root Extract, Ampelopsis Japonica Root Extract, Morus Alba Bark Extract, Sophora Japonica Root Extract, Prunus Persica Leaf Extract, Salix Alba Bark Extract, Tocopherol.
Si tratta del prodotto dove maggiore emerge lo sforzo del marketing. Il prezzo di 55 €, ma si trova anche scontato a 49€, viene percepito come alto e lo posiziona tra i prodotti premium, anche se, per il formato, il prezzo al Kg si avvicina a quello di analoghi prodotti da supermercato. Evidente l’investimento sul packaging, con il vasetto che riporta il pittogramma dello Yin-Yang. Nella scelta del nome hanno puntato sulle poche parole cinesi conosciute in occidente ( Thai chi, Yin-yang ).
Il vasetto con il disegno della monade Yin-Yang , decisamente originale, può piacere anche se è decisamente poco pratico. Per prelevare il prodotto da quelle fessure ci vogliono dita sottili come un cotton-fioc.
Il colore nero lucido della maschera black, sfida le percezioni istintive: bianco (puro, buono, sano) verso nero ( sporco, impuro, cattivo). Ma può evocare l’idea di efficacia, un po’ come quando si pensa che una medicina per essere efficace debba essere amara.
La formulazione, essendo maschere devono contenere polveri insolubili, punta molto sui pigmenti bianco (biossido di titanio) e nero (carbone animale, ottenuto con la combustione in debito di ossigeno di ossa).
I riferimenti all’erboristeria si rintracciano nella “tipica” formulazione minestrone ( di tutto un po’) con molti estratti o oli vegetali diversi, 11 nella nera e 18 nella bianca. Elegante e originale l’utilizzo del sapone ottenuto dall’olio di murumuru. La maschera nera è un gel-fango sostanzialmente senza emulsionanti ed emollienti. La maschera bianca è una emulsione olio in acqua. L’emollienza è decisamente poco innovativa; basata su Dimethicone, paraffina e petrolato, migliorando il tocco con qualche isostearate e isoparaffina. Lo skin feel può piacere anche se ricorda soluzioni formulative decisamente datate o vecchie. La vedo dura, se devono competere con le ultra innovative formulazioni koreane che tanto piacciono alle donne cinesi. Sconcerta l’utilizzo del “petrolatum”, alla luce delle ambigue restrizioni fissate dal regolamento europeo.

Color Control – Skintone Perfector Mask

Prezzo € 30,99 per 260g. corrispondenti a € 119,19 / Kg

Ingredienti: Water, Glycerin, Ci 77891, Dimethicone, Paraffinum Liquidum, Cetearyl Alcohol, Caprylic/Capric Triglyceride, Petrolatum, Glyceryl Stearate, Ceteareth-20, Hydrogenated Dimer Dilinoleyl/Dimethylcarbonate Copolymer, Castoryl Maleate, Cetyl Dimethicone, Polyacrilamide, Sodium Polyacrylate, Propylene Glycol, C13-14 Isoparaffin, Simmondsia Chinensis (JOJOBA) Seed Oil, Xanthan Gum, Hydrogenated Polydecene, Diazolidinyl Urea, Cocoamidopropyl Betaine, Glycosaminoglycans, Fragrance, Methylparaben, Laureth-7, Pearl Powder, Polygonatum Multiflorum Rhizome/Root Extract, Sodium Chloride, Bht, Propylparaben, Ppg-5-Laureth-5, Citric Acid, Tromethamine, Pentylene Glycol, Butylene Glycol, Ampelopsis Japonica Root Extract, Paeonia Lactiflora Root Extract, Bletilla Striata Root Extract, Dictamnus Desycarpus Root-Bark Extract, Tribulus Terrestris Fruit Extract, Bht, Vitamine, Atractyloides Macrocephala Root Extract, Poria Cocos Sclerotium Extract, Iodopropynyl Butylcarbamate, Hexyl Cinnamal, Limonene, Linalool.
Si riconosce una base formulativa molto simile alla maschera T’ai Chi bianca ma in un packaging che non sembra l’ideale per il canale “profumeria”. I vasi in vetro con tappo a molla, tipo marmellata fatta in casa, hanno avuto un notevole successo in Cina una 15na di anni fa quando alcune marche di importazione, li utilizzarono in linee del segmento green o professionali. Una marca americana, distribuita nei department store cinesi, Borghese, ha avuto per vari anni un discreto successo con cosmetici in questo tipo di confezione, ma con posizionamento premium, e prezzi molto alti. Anche in questo caso, il prodotto Herborist ha un prezzo al Kg che non è poi così alto per essere un cosmetico skin care premium. Il claim “Color Control”  può agganciarsi al trend delle creme alfabetiche ( BB, CC ecc. ), ma si mantiene a distanza dal segmento “whitening”, regolato in Cina come funzionale o quasi-drug. 9 ingredienti sono oli o estratti vegetali. Sospetto un sistema formulativo che, come nella T’ai Chi bianca, non brilla certo per innovazione. Sconcerta molto, se non è un errore di stampa o trascrizione, l’ingrediente “Vitamine”. Che vitamine? Sono molto diverse tra loro e fanno cose diverse. Si tratta di una definizione come ingrediente cosmetico non registrata come INCI e neppure nell’inventario cinese, che può confondere, anziché informare il consumatore.

Siero Rivitalizzante e Rassodante

Fonte
Prezzo €49,00 per 30g corrispondenti a 1633 €/Kg
Siero Rivitalizzante e Rassodante - Herborist
Ingredienti: Aqua, isohexadecane, glycerin, caprylic/capric triglyceride, methylsilanol mannuronate, butylene glycol, polymethylsilsesquioxane, pentaerythrityl distearate, cyclopentasiloxane, glyceryl stearate, behenyl alcohol, dimethicone, dimethicone crosspolymer, glyceryl oleate citrate, propylene glycol, sodium stearyol glutamate, diazolidinyl urea, parfum, butylphenyl methylpropional, eugenol, linalool, benzyl benzoate, citronellol, hexyl cinnamal, limonene, xanthan gum, methylparaben, asiaticoside, propylparaben, ganoderma lucidum stem extract, polygonatum odoratum extract, rhodiola sacra root extract, sodium methylparaben, sorbic acid.
Un siero, venduto a prezzi premium ( sopra i 1000€/Kg ). L’ingrediente attivo su cui hanno puntato è il methylsilanol mannuronate, che non si può considerare un estratto erbale essendo composto da metilsilanetriol ( mattoncini dei siliconi ) e acidi alginici ( polisaccaridi derivati dalle alghe brune ). Il produttore dell’ingrediente vanta molteplici effetti (anti-age, lipolisi, idratante, lenitivo, anti-smagliature ) ma gli studi scientifici a supporto sono carenti e non supportano l’efficacia in vivo del cosmetico. La lista ingredienti fa pensare ad un prodotto idratante. Non mi è per nulla chiaro cosa intendono con “rivitalizzare” e l’asiaticoside e 3 estratti erbali, in fondo in fondo, nella lista ingredienti, non si capisce cosa e come “rivitalizzano”.
Rodolfo Baraldini
  
                        
 

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