venerdì 8 maggio 2015

Espedienti saponieri

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Espedienti saponieri




Le ultime richieste di Patrizia Garzena e di altri saponificatori mi permettono di entrare nel dettaglio di alcuni espedienti saponieri.
Premetto che molti accorgimenti fanno parte di quell’insieme di procedure che io chiamo arte saponiera, dove la esperienza e creatività del saponificatore fanno adottare procedure originali e a volte controintuitive.
chiede Patrizia:
6. Altro tormentone che mi perseguita da tempo: l’aggiunta al sapone di acido citrico o sodio
citrato oppure di sodio lattato. Alcuni sostengono che il citrico o il citrato servano a ridurre i depositi di sapone nel lavandino, oppure che il lattato serve a rendere più compatto e asciutto il sapone senza bisogno di farlo stagionare a lungo. Dove sta la verità? Chimicamente come si comportano questi additivi nel sapone e qual è la loro utilità?
Aggiungere acido citrico ( o lattico) non è la stessa cosa che aggiungere sodio citrato ( o lattato) in quanto gli acidi possono reagire chimicamente dove i sali invece non possono o possono molto meno.
Ritengo che nelle tecnologie ed arti saponiere l’utilizzo dell’acido citrico o altri acidi analoghi abbiano molte funzioni.
Senza entrare in processi complessi, dove ad esempio si fa precedere la saponificazione con idrolisi acide dei grassi, l’aggiunta di un acido, citrico o lattico, a parità di alkale comporta una riduzione dei grassi che saponificano. Di fatto è una procedura surgrassante analoga alla saponificazione con sconto. Visto che ogni molecola di acido può sottrarre sodio al sapone, l’aggiunta di un acido, molto a spanne equivale a saponificare con sconto. Per questa funzione qualcuno potrebbe scegliere l’acido di cui ci si immagina che restando sulla pelle ci possano essere eventuali azioni restitutive. Da questo punto di vista, l’acido lattico potrebbe essere preferibile  anche se “sconta” meno del citrico. L’aggiunta di acido citrico, ma in questo caso anche di sali citrati, può avere anche la funzione di chelare ( che significa aggrapparsi con le chele come quelle di un granchio) ioni metallici particolarmente reattivi nei processi di ossidazione-irrancidimento degli oli. Il peggiore per innescare irrancidimento degli oli è lo ione Fe ( cioè il ferro ) ma anche gli altri non scherzano.
Sull’effetto “builder” (addolcente) con acque dure, cioè ricche di carbonati di Ca e Mg, il citrato di sodio da solo è un sequestrante mediocre, che varia sensibilmente la sua capacità chelante in funzione di vari fattori. Studiando l’azione della detergenza, anche i normali saponi sono dei “builder”, cioè “addolciscono” le acque dure. Infatti formano con Ca e Mg saponi bivalenti. Questi avendo 2 code idrofobe divergenti non possono disporsi nella tipica configurazione globulare , con le teste idrofile verso l’esterno. Formano così micelle inverse, dove le code idrofobe all’esterno rendono “insolubile” il sale.
Quindi in una acqua “dura” saponata, addizionando citrato di sodio si mettono in competizione 2 sostanze addolcenti; il sapone che fa precipitare i sali insolubili e il citrato che forma sali parzialmente solubili ( attorno al 1×1000 a 30°) e li disperde. Evidentemente con acque molto dure non si vedranno grandi benefici anche se si è riscontrata una sinergia tra citrato di sodio e sapone nella “solubilizzazione/dispersione” di saponi bivalenti. La vera soluzione sono chelanti più efficienti come l’EDTA. Se non lo si vuole utilizzare per ragioni ecologiche può essere sostituito dall’EDDS o altri chelanti considerati “ecologici”. L’utilizzo di sequestranti più efficienti è particolarmente utile anche per ridurre il rischio irrancidimento e viraggio cromatico.

In che fase , cioè quando, aggiungere gli acidi ?

Se aggiunti agli oli possono catalizzare la separazione del glicerolo, se aggiunti alla soluzione di idrossido di sodio possono neutralizzarlo (anche violentemente)alzando la temperatura di processo, se aggiunti dopo la salificazione prima dell’emulsione possono chelare meglio Ca e Mg e formare un sapone più surfattato, se aggiunti durante l’emulsione possono agevolare l’emulsione delle micelle inverse . Insomma, ci sono varie ragioni per scegliere una precisa fase in cui aggiungere gli acidi e queste dipendono dall’arte saponiera e da quello che si vuole ottenere.
Esempio : normalmente la pasta viene salata , salando l’acqua di bollitura. Così si ottiene una salatura più uniforme, si sciolgono certamente i fastidiosi cristalli di sale e si alza la temperatura di ebollizione, ma potrebbe essere salata anche dopo essere stata scolata, così si potrebbe utilizzare meno sale, si abbasserebbe la temperatura di ebollizione ecc.. ecc.. il risultato finale è lo stesso, cioè “pasta salata”, ma le due diverse procedure possono avere ben precise ragioni per essere preferite.
7. Che cosa sono i saponi-non-saponi e perché piacciono tanto ai dermatologi (oltre che a quelli che li producono e te li fanno pagare il doppio se non il triplo dei saponi normali?
Cosa pensava il markettaro che si è inventato la definizione SAPONE-NON SAPONE?
Difficile rispondere. Un ossimoro che sembra voler dire: i vantaggi del sapone, senza i difetti del sapone.
Ognuno può interpretarlo come gli fa comodo.
Con la definizione SAPONE NON SAPONE , il mercato tende ad offrire tensioattivi più delicati e/o a pH non fortemente alcalino.
Pensando a sostanze a portata di autoproduzione domestica, mi piace pensare ad esempio a “saponi” ottenuti da esteri dell’acido lattico anziché del glicerolo.
Il sodium stearoyl lactyl lactylate, INCI = SODIUM STEAROYL LACTLATE, è una emulsionante alimentare molto comune ed economico che di fatto svolge una discreta azione detergente senza un pH fortemente alcalino.
chiede Paolo:
… perché dici che le cristallizzazioni dei saponi non sono polimorfiche?
Argomenti complessi , di cui ho conoscenze limitate.
Ritengo si debbano considerare polimorfici quei sistemi che a parità di sostanza formano diverse configurazioni cristalline.
Nei saponi sono state individuati cristalli di molti “tipi” e aspetti diversi, ma le diverse configurazioni dipendono dalle diverse molecole ( acidi grassi saturi lunghi o corti , acidi grassi insaturi ecc. ecc..) e dalla presenza dell’acqua e alcoli o degli acidi “superfattanti”.
Le cristallizzazioni polimorfiche, per intenderci quella del burro cacao, possono modificare il loro aspetto e struttura in funzione del ciclo di riscaldamento-raffreddamento. Per questo nella produzione del cioccolato, ma anche dei rossetti, si utilizza il temperaggio, cioè il ciclo di lento raffreddamento che comporta la formazione di cristalli β e β1, più piccoli e stabili.
Le diverse strutture cristalline presenti nei saponi non mostrano sostanziali problemi di stabilità a temperatura ambientale, ma nell’arte saponiera alcune procedure: salatura, acidificazione, ricottura, bagnatura e lucidatura, “impermeabilizzazione” atmosferica ecc.ecc. possono sfruttare la cinetica del processo di cristallizzazione.
In questo le tecnologie saponiere hanno dovuto sviluppare ricerche e inventarsi soluzioni per ottenere qualità ed eccellenza in impianti capaci di produrre decine di migliaia di saponette all’ora e di molti di questi “espedienti produttivi”, io so molto poco.
Rodolfo Baraldini
pubblicato 17 gennaio 2014
 

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