Cosmetici che “fidelizzano”
L’argomento non sembra interessare solo i pochi lettori del blog che operano nel marketing cosmetico e preferisco affrontarlo considerando i comportamenti del consumatore cosmetico piuttosto che redigere l’ennesimo bignami del marketing o manualetto sul come diventare ricchi facilmente creandosi la propria marca cosmetica. | Loyalty cosmetica Fideismo ed edonismo Profumo Colore Texture |
Loyalty cosmetica | ↑ |
Anche in questo Avon con l’idea di sfruttare solo forza vendita femminile coinvolgendo la stessa clientela ha sfruttato una forte leva di fidelizzazione.
Il coinvolgimento che il marketing dei beni di largo consumo cerca di creare può anche essere un coinvolgimento emotivo proiettato verso un risultato ludico. Tra gli strumenti di fidelizzazione sono molto comuni le raccolte punti, i giochi a premi e altre promozioni che acchiappano con forza straordinaria il cliente. Sarà l’ossessione per la vittoria, ma ho visto spendere molte centinaia di euro per raccogliere punti che permettevano di vincere gadget dal costo industriale inferiore a 5 euro. La fedeltà comporta una costanza nei sentimenti e nelle convizioni che come ogni atto di fede non è necessariamente supportata da fattori razionali. La fidelizzazione che il marketing cosmetico cerca di produrre punta su reazioni emotive/affettive, cognitive e comportamentali del consumatore.
Nel cosmetico il giudizio di gradimento del consumatore “fidelizzato” è fortemente influenzato dal brand, dalla marca e dal gradimento di primo impatto.
Edonismo e fideismo | ↑ |
Ma se vendo facilmente al consumatore di fede milanista la crema rosso/nera, non la vendo altrettanto facilmente al consumatore interista. Se non interessa il football, l’esempio può valere per religioni, ideologie, pseudoreligioni e qualunque altro fanatismo contemporaneo. La parte interessante per il marketing dell’approccio fideistico è che in fondo basta solo saperla raccontare bene. La fidelizzazione passa semplicemente attraverso l’adesione ad un messaggio. La comunicazione dei valori extrafunzionali: il cosmetico ecologico, il cosmetico contro i tumori, il cosmetico che non testa su animali, il cosmetico che salva i bambini in africa ecc.., rientra a pieno titolo nel canto delle sirene della pubblicità.
Che il cosmetico sia certificato Halal ( la certificazione che il cosmetico è stato prodotto rispettando le regole della sharia islamica ) o Naturale risponde ad una domanda fideistica del consumatore.
Più restringo l’ambito fideistico in cui voglio che il consumatore si riconosca nel prodotto o nel brand, più restringo il potenziale mercato.
La crema che si dichiara non testata su animali ha più clienti potenziali della crema non testata su topi albini.
Se si vuole fare grandi numeri nel cosmetico è importante investire sulla soddisfazione sensoriale del consumatore. L’aspetto edonistico, la piacevolezza del cosmetico in genere è frutto di una elaborazione complessa dove l’analisi sensoriale ed i test di gradimento vengono eseguiti anche su campioni di consumatori molto ampi. Le piccole imprese nella cosmesi in genere non hanno le risorse o la cultura per affrontare simili percorsi. Facile riconoscere in tante piccole marche cosmetiche la crema, il profumo, il packaging preferito dalla moglie o dall’amante del titolare. Poi si domandano perché la loro crema vende un milionesimo di quella di una grande marca.
Il lavoro necessario per costruire un prodotto cosmetico che fidelizzi sensorialmente centinaia di migliaia di persone è tutt’altro che banale. Le leve, i driver sensoriali, su cui agire sono poche e l’analisi quantitativa del loro gradimento è tutt’altro che semplice.
Profumo | ↑ |
Dall’alimentazione abbiamo assunto la pratica quasi istintiva di riconoscere ciò che ci fa male dall’odore. Il gesto di annusare un cosmetico alla apertura del contenitore è però in grado di condizionare fortemente l’acquisto e secondariamente partecipa al processo di fidelizzazione del consumatore. Il consumatore, se nel prodotto c’è un profumo che gli piace molto, rievoca ogni volta che riapre il prodotto un sottile piacere olfattivo. Vari test sensoriali hanno riscontrato come, invece, il profumo residuo sulla pelle dopo l’applicazione sia un fattore di gradimento e fidelizzazione meno rilevante. Insomma, un buon profumo fa vendere bene, ma non deve profumare molto. Ovviamente parlo di tutti i cosmetici escludendo i profumi per cui il profumo residuo una volta applicato è invece il principale valore funzionale. L’effetto profumante, cioè del profumo residuo sulla pelle, in un cosmetico, ad esempio skin care, è un fattore secondario. Questo spiegherebbe perché non abbiano avuto successo creme skin care profumanti, quando per realizzarle bastava alzare la concentrazione di profumo al loro interno. Nello skin care la concentrazione di profumo, quando c’è, è dell’ordine dello 0,3% , sufficiente a farlo sentire annusando il vasetto ma non in grado di profumare intensamente e prolungatamente la pelle.
Il prodotto skin care ed il prodotto profumante vivono dinamiche diverse e si cerca di ridurre l’interferenza del prodotto skin care con il profumo, in genere alcolico, che viene spruzzato in un momento successivo. Un buon profumo all’interno del cosmetico fa vendere, fidelizza, ma non deve essere troppo intenso.
Colore | ↑ |
Perlanti negli shampoo e nei balsami, pigmenti nei collutori, fino ai dentifrici a striscie, i cosmetici sono stati colorati in tutti i modi possibili.
Diverso l’approccio per le creme skin care dove per anni ha imperato il motto: Fatele di qualunque colore, purchè siano bianche. Anzi nivee, se si vuole intendere l’importanza che può avere l’aspetto cromatico di una crema per il successo di un brand.
Il bianco comunica purezza ed in creme composte principalmente da paraffina il fatto che non si utilizzasse paraffina gialla non era un valore irrilevante. Emergendo la domanda di efficacia nel segmento skin care ci si scontra con il fatto che moltissimi attivi per essere a concentrazioni efficaci colorano la crema, anche molto. Per quanto si comunichi al consumatore che la colorazione intensa di una crema skin care è necessaria se ci vogliamo gli attivi dentro, una crema skin care intensamente colorata è molto meno vendibile.
Texture | ↑ |
È il campo dove il formulatore/cosmetologo può sbizzarrirsi. All’ In Cosmetic, la fiera professionale delle materie prime della cosmetica, quest’anno Basf presentava un Sensory Bar, dove sperimentare come diverse texture possono modulare sensorialmente la percezione del cosmetico.
Si tratta non solo di creare il prodotto gradevole, ma anche quello che affascina, stupisce ed alla fine fidelizza.
Nelle creme si studia il ricciolo che si forma durante il picking dal vasetto, l’inversione o la rottura dell’emulsione una volta applicata, l’effetto velluto, l’effetto seta, il cosiddetto “assorbimento” ecc. Sono fattori che non sempre si possono valutare quantitativamente con i “texture analyzer” di cui si sono forniti alcuni ( pochi ) laboratori cosmetici. Di fronte alla offerta di centinaia di prodotti relativamente simili tra loro, il consumatore può fidelizzarsi a quello dove riconosce un effetto originale, diverso dal solito. Volendo affascinare il consumatore con “effetti speciali” si possono adottare pigmenti ibridi, che cambiano colore durante l’applicazione, creme gel che rompono l’emulsione quando il gellante entra a contatto con gli elettroliti cutanei, effervescenze schiumogene, polveri che si trasformano in creme massaggiandole ecc..
Rodolfo Baraldini
pubblicato 21 maggio 2016
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