Cosmetici senza questo e senza quello, ma soprattutto senza motivazione.
Ricevo e pubblico volentieri,
Weleda è un grande gruppo con oltre 350 milioni di euro di vendite annue (250 nel cosmetico) che dichiara una filosofia e mission ben radicate nelle originarie idee steineriane. Si possono non condividere la visione antroposofica o il concetto di agricoltura biodinamica, ma si deve riconoscere una grande coerenza che nell’aggressivo e ruspante segmento eco-bio spesso è difficile trovare.
Ho chiesto espressamente di poter pubblicare questa mail in quanto il fatto che questo blog sia letto anche da vari professionisti della cosmesi che a volte aprono un contraddittorio o mi danno suggerimenti mi è di grande aiuto.
Oggetto della mail questo post:
Creme Idratanti Corpo a confronto dove mi fanno giustamente notare che alcuni claim che non mi piacevano non sono presenti nel sito ufficiale della marca.
In tempi di mercato unico digitale, marketing e distribuzione devono scrivere nuove regole.
Nella recente ricerca che ho condotto per confrontare l’offerta on-line di creme nel segmento eco-bio ho notato notevoli incongruenze tra quanto comunicato nei siti di vendita on line e quanto comunicato dalle marche. La facilità ed il costo relativamente basso con cui si può avviare una attività di vendita on-line moltiplica il numero di negozi on-line e rende più difficile la selezione per il consumatore ma anche per la marca che decide di farsi distribuire.
Nell’intermediazione commerciale, ovviamente, solo il distributore/rivenditore è responsabile di quanto dichiara.
Per il consumatore, come per me, dovendo valutare un acquisto, la comunicazione associata al prodotto sul “punto vendita” è spesso l’unica con cui interagire.
Non mi stupisce che il sito ufficiale di una marca leader come Weleda, tra l’altro una di quelle storiche che hanno più coerentemente creduto nel segmento “green”, non scivoli nella sua comunicazione ufficiale, su claim che potrebbero essere considerati scorretti e mi fa piacere che in Waleda Italia condividano il mio commento. Sicuramente nei prossimi confronti tra prodotti metterò in maggiore evidenza la fonte e responsabilità della comunicazione.
La eventuale incongruenza tra quello che comunica la casa madre e quello che comunica un rivenditore resta un problema competenza delle aziende. Problematica un po’ più complessa da gestire nel mercato unico digitale.
Senza Motivazione
La mail mi dà lo spunto per approfondire l’argomento dei claim privativi e degli ingredienti, che io chiamo, TABÙ.
Finalmente, a luglio di quest’anno, regolamento cosmetico articolo 20, la commissione europea dovrebbe fissare criteri comuni per le dichiarazioni che possono essere utilizzate riguardo ai prodotti cosmetici. In sostanza le linee-guida preliminari sulla pubblicità del cosmetico diventeranno norma. Ricordo quando in sede di elaborazione del regolamento, la commissione dovette affrontare il problema dei claim negativi e degli ingredienti TABÙ. Per un certo periodo, su spinta presumo francese, circolò anche la voce che tutti questi claim che vantano l’assenza di un ingrediente da un cosmetico sarebbero stati se non proibiti almeno “regolamentati”.
Visto che, con quello che ritengo un grande limite del marketing cosmetico, si tende a comunicare la qualità del cosmetico come dipendente solo da alcubi suoi ingredienti, la comunicazione sui cosmetici che evidenzia ingredienti Totem e Tabù è molto comune.
Le linee guida pubblicate a luglio 2013 citano esplicitamente esempi di pubblicità scorretta riferiti a ingredienti utilizzati come Totem o Tabù.
Nonostante la pubblicazione delle linee guida europee e qualche, peraltro raro, provvedimento di qualche agenzia preposta al controllo della correttezza della comunicazione pubblicitaria, come l’ASA inglese, questo tipo di claim cosmetici scorretti sono frequenti. Più è piccola e disorganizzata l’azienda o il sito di vendita più è probabile che la comunicazione sul cosmetico scivoli su claim che possono essere considerati scorretti. Ma non mancano anche grandi gruppi e chi controlla, come il nostro Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria, è pieno di lavoro.
I claim privativi, senza questo e senza quello, sono ammessi, quando non sono ingannevoli o fuorvianti, in quanto sono una informazione al consumatore.
Possono essere però scorretti i claim che denigrano un ingrediente legittimo e conseguentemente portano detrimento ai cosmetici concorrenti che lo utilizzano.
Questo fa si che oggi il consumatore sia martellato da claim privativi, rigorosamente immotivati.
Spiegare il perché non si è inserito un ingrediente in un cosmetico può comportare il denigrarlo senza alcun fondamento.
Quando abbiamo un consumatore tifoso del Milan è giusto fargli sapere che nel cosmetico non c’è neanche un po’ di Inter dentro. Non c’è niente da spiegare. Una fede non necessita di spiegazioni razionali.
Meno lineare la strategia di utilizzare claim privativi di ingredienti denigrati da campagne di disinformazione che li dipingono come nocivi o pericolosi. L’azienda che promuove il cosmetico non deve spiegare perché è “senza parabeni”, ormai quasi tutti “pensano”, senza sapere perché, che sarebbero “pericolosi”. Poco conta che tutti i comitati scientifici mondiali e le autorità considerino sicuro l’utilizzo dei parabeni nel cosmetico alle condizioni prescritte.
Così il cosmetico può essere pubblicizzato “senza parabeni” e non c’è bisogno di spiegare il perché.
Visto come si propaga la disinformazione cosa succederebbe se sempre più marche iniziassero a pubblicizzare il cosmetico “senza acqua” e senza spiegare il perché? Non è che il consumatore vedendo tutti quei “senza”, si convincerebbe assurdamente che l’acqua deve essere nociva se tutti i cosmetici dicono di non averla dentro?
Rodolfo Baraldini
pubblicato 5 febbraio 2016
articoli correlati:
“FAKE FREE”: scorrettezza e ignoranza dei cosmetici FREE (SENZA) .
FUD: cosa è?
Bellezza senza Trucco
Riferimenti:
Guidelines to Commission Regulation (EU) No 655/2013 laying down common criteria for the justification of claims used in relation to cosmetic products .
Advertising Standard Autority
…sono X Y e ricopro il ruolo di xyz xyz xyz per Weleda Italia.
La seguo sempre con piacere e interesse, e a parer mio il suo blog rappresenta un punto di riferimento importante nella divulgazione della cultura cosmetica e cosmetologica.
Ho notato però che nel post da lei pubblicato in data 31 marzo 2015 inerente il confronto tra prodotti idratanti per il corpo, la dissertazione è stata compiuta facendo riferimento ad un testo che non è stato scritto, per lo meno in parte, da Weleda, ma che presumibilmente appartiene al sito di e-commerce da lei citato (Eccoverde, che tra parentesi, a dispetto delle apparenze e del “.it” non è nemmeno cliente Weleda Italia essendo austriaco).
Riteniamo fuorviante per il consumatore il commento – che peraltro condividiamo – riferito al nostro prodotto.
In particolare ci riferiamo alla questione della presenza o meno di paraffina: “Le affermazioni sull’olio di paraffina che creerebbe un fastidioso film sulla pelle sono una pubblicità comparativa non supportata che crea detrimento nei prodotti concorrenti.”. Lo sappiamo e ce ne guardiamo bene di affermarlo sui nostri canali ufficiali.
Probabilmente sarebbe opportuno, quando si pubblicano questi post in cui si pongono a confronto vari prodotti, fare riferimento a contenuti ufficiali scritti dalle aziende, e non a ciò che viene pubblicato da siti terzi perché, sebbene lei scriva che la fonte è il sito terzo, per il consumatore può non essere chiaro.
Qua può trovare la descrizione ufficiale del prodotto e i nostri claim: http://www.weleda.it/prodotto/l/limone-crema-fluida-trattamento-idratante
|
Weleda è un grande gruppo con oltre 350 milioni di euro di vendite annue (250 nel cosmetico) che dichiara una filosofia e mission ben radicate nelle originarie idee steineriane. Si possono non condividere la visione antroposofica o il concetto di agricoltura biodinamica, ma si deve riconoscere una grande coerenza che nell’aggressivo e ruspante segmento eco-bio spesso è difficile trovare.
Ho chiesto espressamente di poter pubblicare questa mail in quanto il fatto che questo blog sia letto anche da vari professionisti della cosmesi che a volte aprono un contraddittorio o mi danno suggerimenti mi è di grande aiuto.
Oggetto della mail questo post:
Creme Idratanti Corpo a confronto dove mi fanno giustamente notare che alcuni claim che non mi piacevano non sono presenti nel sito ufficiale della marca.
In tempi di mercato unico digitale, marketing e distribuzione devono scrivere nuove regole.
Nella recente ricerca che ho condotto per confrontare l’offerta on-line di creme nel segmento eco-bio ho notato notevoli incongruenze tra quanto comunicato nei siti di vendita on line e quanto comunicato dalle marche. La facilità ed il costo relativamente basso con cui si può avviare una attività di vendita on-line moltiplica il numero di negozi on-line e rende più difficile la selezione per il consumatore ma anche per la marca che decide di farsi distribuire.
Nell’intermediazione commerciale, ovviamente, solo il distributore/rivenditore è responsabile di quanto dichiara.
Per il consumatore, come per me, dovendo valutare un acquisto, la comunicazione associata al prodotto sul “punto vendita” è spesso l’unica con cui interagire.
Non mi stupisce che il sito ufficiale di una marca leader come Weleda, tra l’altro una di quelle storiche che hanno più coerentemente creduto nel segmento “green”, non scivoli nella sua comunicazione ufficiale, su claim che potrebbero essere considerati scorretti e mi fa piacere che in Waleda Italia condividano il mio commento. Sicuramente nei prossimi confronti tra prodotti metterò in maggiore evidenza la fonte e responsabilità della comunicazione.
La eventuale incongruenza tra quello che comunica la casa madre e quello che comunica un rivenditore resta un problema competenza delle aziende. Problematica un po’ più complessa da gestire nel mercato unico digitale.
Senza Motivazione
La mail mi dà lo spunto per approfondire l’argomento dei claim privativi e degli ingredienti, che io chiamo, TABÙ.
Finalmente, a luglio di quest’anno, regolamento cosmetico articolo 20, la commissione europea dovrebbe fissare criteri comuni per le dichiarazioni che possono essere utilizzate riguardo ai prodotti cosmetici. In sostanza le linee-guida preliminari sulla pubblicità del cosmetico diventeranno norma. Ricordo quando in sede di elaborazione del regolamento, la commissione dovette affrontare il problema dei claim negativi e degli ingredienti TABÙ. Per un certo periodo, su spinta presumo francese, circolò anche la voce che tutti questi claim che vantano l’assenza di un ingrediente da un cosmetico sarebbero stati se non proibiti almeno “regolamentati”.
Visto che, con quello che ritengo un grande limite del marketing cosmetico, si tende a comunicare la qualità del cosmetico come dipendente solo da alcubi suoi ingredienti, la comunicazione sui cosmetici che evidenzia ingredienti Totem e Tabù è molto comune.
Le linee guida pubblicate a luglio 2013 citano esplicitamente esempi di pubblicità scorretta riferiti a ingredienti utilizzati come Totem o Tabù.
Totem – ingrediente positivo, comunicarne la presenza fa vendere es: Crema lenitiva alla calendula | Sono “note” le proprietà lenitive della calendula , ma una crema che la contiene non è automaticamente a sua volta lenitiva. | “The claim ‘contains moisturising aloe vera’ or prominently picturing aloe vera shall not be made if the product itself has no moisturising effect.” |
Tabù – ingrediente negativo, comunicarne l’assenza fa vendere es: Crema senza siliconi | La comunicazione non deve denigrare ingredienti utilizzati legalmente in altri cosmetici affermando ad esempio che “i siliconi soffocano la pelle” | “The claim … this product does not contain ingredient Y which is known to be irritating’ shall not be made.” |
I claim privativi, senza questo e senza quello, sono ammessi, quando non sono ingannevoli o fuorvianti, in quanto sono una informazione al consumatore.
Possono essere però scorretti i claim che denigrano un ingrediente legittimo e conseguentemente portano detrimento ai cosmetici concorrenti che lo utilizzano.
Questo fa si che oggi il consumatore sia martellato da claim privativi, rigorosamente immotivati.
Spiegare il perché non si è inserito un ingrediente in un cosmetico può comportare il denigrarlo senza alcun fondamento.
Quando abbiamo un consumatore tifoso del Milan è giusto fargli sapere che nel cosmetico non c’è neanche un po’ di Inter dentro. Non c’è niente da spiegare. Una fede non necessita di spiegazioni razionali.
Meno lineare la strategia di utilizzare claim privativi di ingredienti denigrati da campagne di disinformazione che li dipingono come nocivi o pericolosi. L’azienda che promuove il cosmetico non deve spiegare perché è “senza parabeni”, ormai quasi tutti “pensano”, senza sapere perché, che sarebbero “pericolosi”. Poco conta che tutti i comitati scientifici mondiali e le autorità considerino sicuro l’utilizzo dei parabeni nel cosmetico alle condizioni prescritte.
Così il cosmetico può essere pubblicizzato “senza parabeni” e non c’è bisogno di spiegare il perché.
Visto come si propaga la disinformazione cosa succederebbe se sempre più marche iniziassero a pubblicizzare il cosmetico “senza acqua” e senza spiegare il perché? Non è che il consumatore vedendo tutti quei “senza”, si convincerebbe assurdamente che l’acqua deve essere nociva se tutti i cosmetici dicono di non averla dentro?
Rodolfo Baraldini
pubblicato 5 febbraio 2016
articoli correlati:
“FAKE FREE”: scorrettezza e ignoranza dei cosmetici FREE (SENZA) .
FUD: cosa è?
Bellezza senza Trucco
Riferimenti:
Guidelines to Commission Regulation (EU) No 655/2013 laying down common criteria for the justification of claims used in relation to cosmetic products .
Advertising Standard Autority
Nessun commento:
Posta un commento