Ho cercato molte volte qualche paper scientifico che trattasse della pelle asfittica, non l’ho trovato.
Il termine nelle solite librerie, database e riviste scientifiche (Publimed, Medscape, Nature ecc ) in inglese non compare proprio.
Le poche schede in italiano dove se ne parla, come quella della dott.sa Riccarda Serri, descrivono una tipologia di pelle ma anche un quadro clinico, quasi un disturbo, non molto chiaro o immediato: secca ma seborroica, dove il nome la dice molto di più che la descrizione: la pelle è asfissiata, non “respira”.
Poi quali siano le conseguenze di questa asfissia e come si svilupperebbe non è affatto chiaro. Pelle più grigia, pelle ipercheratinizzata, pelle con manifestazioni acneiche in età adulta, pelle “spenta”, pelle con una “particolare” oleosità, secca ma oleosa, soffocata da cosmetici sbagliati ….
Ho sentito per la prima volta il termine oltre una ventina di anni fa, in uno di quei brainstorming tra commerciali e tecnici per il lancio di nuove linee cosmetiche.
Dovendo segmentare l’offerta, nel marketing la scelta di Hobson o il ” fatele di qualunque colore purchè siano nere” non funziona, ci venne proposto di eliminare i claim riferiti alle pelli miste.
Insomma per vendere skin care si devono fare creme notte, creme giorno, creme sera, creme pelli sensibili, creme pelli impure, creme pelli grasse, creme pelli giovani, creme pelli mature, creme tinte e creme verdi, rosse e gialle, ecc..
I consulenti scientifici ci vennero a spiegare che non aveva senso continuare a parlare di pelli miste, visto che a ben vedere praticamente tutte le pelli possono essere “miste”. Quando mi proposero il termine “pelli asfittiche” mi piacque subito molto. Erano gli anni in cui stavo lanciando nuove linee green o eco-bio e l’idea “implicita” della pelle soffocata dai cosmetici della concorrenza mi piacque molto.
Si cominciò a parlarne, ne discussi anche a lungo con la Serri e tutt’ora credo che l’unica scheda redatta con sufficiente accuratezza per descrivere una “pelle asfittica” sia la sua.
Dovendo segmentare l’offerta, nel marketing la scelta di Hobson o il ” fatele di qualunque colore purchè siano nere” non funziona, ci venne proposto di eliminare i claim riferiti alle pelli miste.
Insomma per vendere skin care si devono fare creme notte, creme giorno, creme sera, creme pelli sensibili, creme pelli impure, creme pelli grasse, creme pelli giovani, creme pelli mature, creme tinte e creme verdi, rosse e gialle, ecc..
I consulenti scientifici ci vennero a spiegare che non aveva senso continuare a parlare di pelli miste, visto che a ben vedere praticamente tutte le pelli possono essere “miste”. Quando mi proposero il termine “pelli asfittiche” mi piacque subito molto. Erano gli anni in cui stavo lanciando nuove linee green o eco-bio e l’idea “implicita” della pelle soffocata dai cosmetici della concorrenza mi piacque molto.
Si cominciò a parlarne, ne discussi anche a lungo con la Serri e tutt’ora credo che l’unica scheda redatta con sufficiente accuratezza per descrivere una “pelle asfittica” sia la sua.
Purtroppo marketing e ricerca non vanno molto d’accordo per cui mentre a chi vendeva bastava evocare il concetto e utilizzare il claim, chi voleva approfondire la comprensione della natura dell’eventuale fenomeno aveva ben pochi dati. Il fatto che questo eventuale quadro clinico non abbia riscontri in pubblicazioni scientifiche non in italiano non promette molto bene.
Tra l’altro l’oleosità della pelle, il suo essere grassa, oleosa, secca è uno dei parametri meno valutabili soggettivamente. La maggioranza delle persone autodefinisce la propria pelle troppo grassa o troppo oleosa quando proprio non lo è. Una verifica strumentale di come classificare l’oleosità cutanea conclude che l’opinione individuale non corrisponde ad alcuna definizione del tipo di pelle basata sulla quantità di sebo. Anche esperti e professionisti, senza misure strumentali, possono prendere sonore cantonate.
Tra l’altro l’oleosità della pelle, il suo essere grassa, oleosa, secca è uno dei parametri meno valutabili soggettivamente. La maggioranza delle persone autodefinisce la propria pelle troppo grassa o troppo oleosa quando proprio non lo è. Una verifica strumentale di come classificare l’oleosità cutanea conclude che l’opinione individuale non corrisponde ad alcuna definizione del tipo di pelle basata sulla quantità di sebo. Anche esperti e professionisti, senza misure strumentali, possono prendere sonore cantonate.
In attesa che venga pubblicato qualcosa da qualcuno molto più competente di me, vediamo di cosa si sta parlando.
La pelle scambia con l’esterno ma non è un organo respiratorio. Insomma “respira”, si fa per dire, ma non può essere asfissiata.
Che la pelle scambi gas con l’ambiente esterno è ovvio e noto da tempo.
Lo sanno bene alcune zanzare attirate sulla pelle dalla nostra anidride carbonica. La permeabilità ai gas dei tessuti cutanei è molto limitata ma c’è, micca siamo rivestiti di alluminio. Parlando di permeabilità si deve considerare che il flusso dei gas può essere in entrata come in uscita, ad esempio il gas d’acqua, il vapore acqueo, lo perdiamo attraverso la pelle, ma solo se l’ambiente esterno non ne ha una concentrazione maggiore. Se la concentrazione esterna è maggiore , lo stesso gas , penetra, anziché uscire. Penso che impropriamente si sia parlato di “respirazione della pelle” o “respirazione percutanea” per descrivere il fenomeno della permeabilità cutanea ai gas scoperto nel lontano 1851 da Gerlach.
Il fatto è che, anche se su internet continuano a dire che la pelle è il nostro organo più esteso, nell’interfaccia tra noi e l’aria i polmoni sono almeno 70/85 volte più estesi della pelle.
Inoltre la superficie di interfaccia che i gas devono attraversare per arrivare al sangue nel caso dei polmoni è dell’ordine di pochi micron mentre nella pelle è circa 1000 volte superiore.
Non siamo come alcuni anfibi che effettivamente respirano grazie alla permeabilità ai gas della loro pelle ed il contributo sistemico dello scambio di gas della nostra pelle è irrilevante.
Il fatto che l’apporto sistemico di ossigeno sia irrilevante non comporta che non ci sia un apporto locale.
La pelle è ossigenata soprattutto dal sangue ma negli strati più esterni, quelli non irrorati o poco irrorati l’ossigeno arriva per diffusione dagli strati più profondi e dall’ambiente esterno.
Misurando il tasso di ossigeno a diverse profondità dalla superficie è stato notato un minimo a circa 100 micron di profondità.
Quello teoricamente è il punto di equilibrio dove l’ossigeno che permea la pelle portato dal sangue viene superato in concentrazione dall’ossigeno che permea la pelle dall’esterno.
Questo dato si sovrappone a quello della concentrazione di acqua a diverse profondità della pelle.
L’ossigeno dell’aria esterna ha una decisiva prevalenza sull’ossigeno portato dal sangue sugli strati più esterni, in particolare sullo strato corneo dove le cellule sono “biologicamente morte” e quindi nessuno le può asfissiare. Ma su parte dell’epidermide , fino alla giunzione epidermide/derma effettivamente parte dell’ossigeno atmosferico può interagire con processi biologici della pelle.
La pelle scambia con l’esterno ma non è un organo respiratorio. Insomma “respira”, si fa per dire, ma non può essere asfissiata.
Che la pelle scambi gas con l’ambiente esterno è ovvio e noto da tempo.
Lo sanno bene alcune zanzare attirate sulla pelle dalla nostra anidride carbonica. La permeabilità ai gas dei tessuti cutanei è molto limitata ma c’è, micca siamo rivestiti di alluminio. Parlando di permeabilità si deve considerare che il flusso dei gas può essere in entrata come in uscita, ad esempio il gas d’acqua, il vapore acqueo, lo perdiamo attraverso la pelle, ma solo se l’ambiente esterno non ne ha una concentrazione maggiore. Se la concentrazione esterna è maggiore , lo stesso gas , penetra, anziché uscire. Penso che impropriamente si sia parlato di “respirazione della pelle” o “respirazione percutanea” per descrivere il fenomeno della permeabilità cutanea ai gas scoperto nel lontano 1851 da Gerlach.
Il fatto è che, anche se su internet continuano a dire che la pelle è il nostro organo più esteso, nell’interfaccia tra noi e l’aria i polmoni sono almeno 70/85 volte più estesi della pelle.
Inoltre la superficie di interfaccia che i gas devono attraversare per arrivare al sangue nel caso dei polmoni è dell’ordine di pochi micron mentre nella pelle è circa 1000 volte superiore.
Non siamo come alcuni anfibi che effettivamente respirano grazie alla permeabilità ai gas della loro pelle ed il contributo sistemico dello scambio di gas della nostra pelle è irrilevante.
La pelle è poco permeabile ai gas ma non completamente impermeabile, come sanno quelli che sviluppano gas nervini e armi per la guerra chimica.
Nell’adulto il flusso è dell’ordine di 60.0 ml/m2/hr di ossigeno in entrata e di 86 ml/m2/hr di CO2 in uscita. Vista la concentrazione di ossigeno nell’aria molto più alta di quella della CO2 sembrerebbe che la limitata permeabilità ai gas della pelle umana sia sfruttata più per espellere anidride carbonica che per assorbire ossigeno, con grande gioia delle zanzare.
Nell’adulto il flusso è dell’ordine di 60.0 ml/m2/hr di ossigeno in entrata e di 86 ml/m2/hr di CO2 in uscita. Vista la concentrazione di ossigeno nell’aria molto più alta di quella della CO2 sembrerebbe che la limitata permeabilità ai gas della pelle umana sia sfruttata più per espellere anidride carbonica che per assorbire ossigeno, con grande gioia delle zanzare.
Il fatto che l’apporto sistemico di ossigeno sia irrilevante non comporta che non ci sia un apporto locale.
La pelle è ossigenata soprattutto dal sangue ma negli strati più esterni, quelli non irrorati o poco irrorati l’ossigeno arriva per diffusione dagli strati più profondi e dall’ambiente esterno.
Misurando il tasso di ossigeno a diverse profondità dalla superficie è stato notato un minimo a circa 100 micron di profondità.
Quello teoricamente è il punto di equilibrio dove l’ossigeno che permea la pelle portato dal sangue viene superato in concentrazione dall’ossigeno che permea la pelle dall’esterno.
Questo dato si sovrappone a quello della concentrazione di acqua a diverse profondità della pelle.
L’ossigeno dell’aria esterna ha una decisiva prevalenza sull’ossigeno portato dal sangue sugli strati più esterni, in particolare sullo strato corneo dove le cellule sono “biologicamente morte” e quindi nessuno le può asfissiare. Ma su parte dell’epidermide , fino alla giunzione epidermide/derma effettivamente parte dell’ossigeno atmosferico può interagire con processi biologici della pelle.
Più che per qualche rughetta o per un improbabile colore spento della pelle, queste considerazioni possono avere grande rilevanza nell’utilizzo terapeutico dell’ossigeno iperbarico.
Proprio studiando le possibili applicazioni terapeutiche dell’ossigeno iperbarico è emerso che la permeabilità cutanea ai gas è comunque troppo bassa. Infatti le attuali ricerche sull’apporto di ossigeno transcutaneo privilegiano l’applicazione di liquidi con ossigeno dissolto.
In sostanza la permeabilità ai gas della pelle è troppo bassa per pensare di apportare significativamente ossigeno in forma gassosa a qualche tessuto bersaglio pertanto si deve cercare di portarlo dissolto in qualche mezzo liquido. Questo con buona pace della moda non del tutto svanita dei trattamenti estetici a base di ossigeno gassoso che qualche tempo fa hanno avuto una discreta diffusione.
Proprio studiando le possibili applicazioni terapeutiche dell’ossigeno iperbarico è emerso che la permeabilità cutanea ai gas è comunque troppo bassa. Infatti le attuali ricerche sull’apporto di ossigeno transcutaneo privilegiano l’applicazione di liquidi con ossigeno dissolto.
In sostanza la permeabilità ai gas della pelle è troppo bassa per pensare di apportare significativamente ossigeno in forma gassosa a qualche tessuto bersaglio pertanto si deve cercare di portarlo dissolto in qualche mezzo liquido. Questo con buona pace della moda non del tutto svanita dei trattamenti estetici a base di ossigeno gassoso che qualche tempo fa hanno avuto una discreta diffusione.
Parlando di mezzi in cui l’ossigeno, ammesso che serva e sia utile per “curare” una cosiddetta pelle asfittica, può essere dissolto, uno dei nonsensi cosmetici che ho notato è che, come purtroppo pochi sanno, la solubilità dell’ossigeno in olio, sia minerale che vegetale, è normalmente superiore a quella in acqua. Un altro dato paradossale è che per loro natura chimica i siliconi tendono ad essere molto più permeabili all’ossigeno delle catene basate sul carbonio. Questo spiega perché sono molto utilizzati come applicazioni medicali, visto che una gomma siliconica può essere permeabile all’ossigeno 400 volte più di una gomma “carboniosa”. Se volete sigillare la conserva non utilizzate guarnizioni siliconiche e non usate contenitori in gomma siliconica per conservare prodotti che possono inrancidire.
Nonostante la maggiore solubilità dell’ossigeno in olio rispetto all’acqua non metteteci i pesci rossi, infatti la diffusività dipende dalla viscosità molto maggiore nell’olio rispetto all’acqua ed il pesce non gradisce.
Tra i liquidi che permettono la “respirazione liquida” meglio dei siliconi, cioè che possono solubilizzare grandi quantità di ossigeno e di anidride carbonica e cederli anche ai tessuti, ci sono i perfluorocarboni. Li hanno proposti tempo fa oltre che per vari usi medicali anche come ingredienti cosmetici. Il successo è stato molto scarso. La pelle per respirare sfrutta soprattutto il sangue arterioso ed il beneficio estetico di un apporto dall’esterno di ossigeno è controverso e discutibile. Inoltre l’esperimento del topo che respira nonostante sia immerso in un liquido, la pubblicità di questi ingredienti cosmetici sfruttava il sensazionalismo di questo fenomeno, è per lo meno angosciante.
Nonostante la maggiore solubilità dell’ossigeno in olio rispetto all’acqua non metteteci i pesci rossi, infatti la diffusività dipende dalla viscosità molto maggiore nell’olio rispetto all’acqua ed il pesce non gradisce.
Tra i liquidi che permettono la “respirazione liquida” meglio dei siliconi, cioè che possono solubilizzare grandi quantità di ossigeno e di anidride carbonica e cederli anche ai tessuti, ci sono i perfluorocarboni. Li hanno proposti tempo fa oltre che per vari usi medicali anche come ingredienti cosmetici. Il successo è stato molto scarso. La pelle per respirare sfrutta soprattutto il sangue arterioso ed il beneficio estetico di un apporto dall’esterno di ossigeno è controverso e discutibile. Inoltre l’esperimento del topo che respira nonostante sia immerso in un liquido, la pubblicità di questi ingredienti cosmetici sfruttava il sensazionalismo di questo fenomeno, è per lo meno angosciante.
Concludendo:
la pelle asfittica è un quadro clinico poco chiaro e di cui non esiste ambio consenso a livello scientifico, sia nelle sue cause che nelle sue manifestazioni.
La principale ossigenazione della pelle avviene attraverso il sangue.
Solo gli strati più esterni della pelle possono assorbire ossigeno anche dall’esterno.
Anche se si parla spesso di pelle asfissiata da cosmetici inadeguati, non c’è alcuna evidenza su quali ingredienti cosmetici potrebbero ridurre significativamente la permeabilità all’ossigeno. Gli ingredienti di cui è nota una buona capacità di trasporto dell’ossigeno, come alcuni siliconi e perfluorocarburi, sono poco utilizzati e reclamizzati con quella funzione.
la pelle asfittica è un quadro clinico poco chiaro e di cui non esiste ambio consenso a livello scientifico, sia nelle sue cause che nelle sue manifestazioni.
La principale ossigenazione della pelle avviene attraverso il sangue.
Solo gli strati più esterni della pelle possono assorbire ossigeno anche dall’esterno.
Anche se si parla spesso di pelle asfissiata da cosmetici inadeguati, non c’è alcuna evidenza su quali ingredienti cosmetici potrebbero ridurre significativamente la permeabilità all’ossigeno. Gli ingredienti di cui è nota una buona capacità di trasporto dell’ossigeno, come alcuni siliconi e perfluorocarburi, sono poco utilizzati e reclamizzati con quella funzione.
Rodolfo Baraldini
3 settembre 2015
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