Solari: quanto spesso vanno riapplicati?
Ormai la raccomandazione di riapplicarseli è dappertutto, ma la vera domanda che si può porre il consumatore è: quanto spesso me li devo riapplicare? | Fotostabilità Come si misura Sostantività Conclusione |
FALSO!
Prima di tutto perché l’SPF è calcolato con quantità anche doppie o quadruple di quelle che i più si applicano, quindi, se proprio fosse, per un SPF 30 si dovrebbe moltiplicare per 15 o per 7,5.
Poi perché la protezione è calcolata dopo pochi minuti, l’SPF non dice che il prodotto garantisce la stessa protezione dopo ore di esposizione al sole o ai raggi UV (Fotostabilità).
Infine nessuno garantisce che il prodotto resti attaccato alla pelle per ore nella stessa quantità con cui lo si è applicato (Sostantività).
Fotostabilità | ↑ |
la stabilità microbica, cioè che il prodotto non si trasformi in un brodo di cultura pieno di patogeni, muffe, animaletti ed esserini vari.
La stabilità chimico-fisica, cioè che il prodotto mantenga nel tempo le sue prestazioni e caratteristiche chimico fisiche, ad esempio che una emulsione non si separi, che un gel non si spappoli, che un ingrediente non si ossidi tingendo di giallo il tutto, che un ingrediente non degradi ecc..
Nei solari è invece rilevante anche il concetto di fotostabilità, per evidenziare come esposti alla luce i prodotti possono cambiare le loro prestazioni e caratteristiche chimico fisiche, non nell’arco di mesi o anni, ma nell’arco di minuti.
Non che la fotostabilità non debba essere garantita anche in cosmetici non solari. In molti casi si è obbligati ad adottare contenitori non trasparenti o in vetro/plastica molto scuri per impedire che il prodotto sullo scaffale alla luce per qualche mese non degradi. Ma con i solari dove la funzione primaria è proprio proteggerci dalle radiazioni ultraviolette il fatto che tale protezione degradi in pochi minuti o ore è evidentemente un grosso problema.
Della cosa si parla da tempo , alcuni consumatori conoscono il problema ed alcune marche cominciano a vantare nei loro prodotti l’utilizzo di filtri fotostabili con claim ambigui.
Come si misura la fotostabilità di un solare? | ↑ |
In realtà le pubblicità che vantano l’utilizzo di filtri solari stabili non si sa bene cosa stiano vantando. Stabili rispetto a cosa? Quanto stabili?
La problematica è complessa e varie ricerche hanno evidenziato come la definizione di stabilità di un prodotto solare sia opinabile.
Nei test in silicio ( le misure elettroniche di assorbimento dei raggi UV ) è sufficiente cambiare il materiale, substrato, su cui viene applicato il prodotto da testare per avere risultati diversi.
Nei test in vivo si aggiunge la variabile del sudore e degli altri fluidi e proteine cutanee che possono accentuare la fotoreattività della formula.
Altro fattore non irrilevante lo spettro e fluenza solare effettivi, visto che le fotoreazioni che portano a degradare la capacità di proteggere di un prodotto solare possono essere più evidenti con alcune lunghezze d’onda anziché altre.
La SED, dose standard a cui si manifesta l’eritema esposti alla luce solare, è stata fissata in 100 J/m². La MED (minima dose a cui si manifesta l’eritema ) è soggettiva e si considera uguale a circa 2 SED nei soggetti Fitzpatrick I, cioè con pelle molto chiara e sensibile, circa 2,5 SED nei soggetti Fitzpatrick II e via di seguito fino ai soggetti Fitzpatrick VI con circa 10 SED. Anche se globalmente si suggerisce di valutare il “fototipo” per determinare la suscettibilità alla esposizione solare, la classificazione Fitzpatrick ( colore della pelle, capelli, occhi ecc. ) non permette di predire correttamente la risposta agli UV che è molto più correttamente descritta dal rapporto tra MED e SED. Per questo le misure di fotostabilità delle protezioni solari calcolando l’irraggiamento in MED, come hanno fatto in molte ricerche per armonizzare la misura della fotostabilità con la misura dell’SPF, non ha molto senso, a meno che non si assuma arbitrariamente la MED di queste misure uguale a 200 J/cm² come ha suggerito la FDA.
Una volta deciso come e quanto preirradiare il prodotto, anche la misura di quanto degrada la sua capacità di proteggere è controversa. Chi analizza con HPLC la concentrazione di filtri solari prima e dopo l’irraggiamento, chi misura in silicio l’assorbimento UVA e UVB, chi misura in vivo lo spettro della riflessione diffusa.
Alcuni ingredienti dei prodotti solari sono poco fotostabili. Sono i fondamenti della fotochimica: la sostanza irradiata assume uno stato eccitato da cui si formano degli intermedi di reazione che anziché tornare allo stato fondamentale formano prodotti di reazione che non filtrano più gli UV come prima. Tra l’altro la reazione avviene anche tra filtri diversi o con il concorso di specie radicaliche prodotte da altri filtri irraggiati, così un filtro X se miscelato col filtro Y dopo pochi minuti di irraggiamento può perdere anche il 50% della sua capacità filtrante.
Impossibile per il consumatore, anche se ha un dottorato di ricerca in fotochimica avanzata, capire dalla lista ingredienti se la miscela utilizzata è fotostabile e quanto è fotostabile. È sufficiente che le sostanze fotoinstabili siano incapsulate o dopate per avere reazioni e soprattutto tempi di reazione completamente diversi. Sono note molte possibili interazioni che possono degradare l’efficienza nel proteggere dai raggi UV. Alcune reazioni fotocatalitiche innescate da metalli, l’alluminio, l’Ossido di Zinco ed il Biossido di titanio, la degradazione dell’avobenzone e del ethylhexylmetoxicinnamate, la loro combinazione ecc.. Fatto sta che tutti gli ingredienti in grado di filtrare gli UV in qualche modo possono trasformarsi o partecipare a reazioni fotochimiche. Anche i filtri minerali, considerati stabili visto che assorbono la stessa quantità di UV anche dopo 1000 ore di esposizione, possono partecipare a queste reazioni fotochimiche. Il biossido di titanio in una settimana di esposizione può ingiallire. Se non rivestiti poi i filtri minerali possono accelerare la degradazione di altri filtri coformulati. Ci sono poi varie tecniche formulative per contrastare queste eventuali degradazioni, descritte in vari brevetti alcuni dei quali scaduti, pertanto l’unico dato certo per definire un cosmetico fotostabile è quello sperimentale.
Il problema è noto alla maggioranza dei formulatori e le produzioni verificano con alcuni test la fotostabilità delle formulazioni. Nei laboratori della cosmesi per molti anni si è fatta la “prova finestra” e non era quella della pubblicità anni ’60 di un famoso detersivo, il Tide. Oggi che a costi relativamente bassi qualunque laboratorio può possedere uno spettrofotometro con cui misurare la trasmittanza UV dei cosmetici una verifica sperimentale indicativa della fotostabilità è alla portata di molti.
A metà del 2015, valutando 107 prodotti sul mercato oltre il 70% sono risultati fotostabili; considerando stabili quelli che hanno una efficienza residua nel filtrare UVA+UVB oltre al 80% della efficienza iniziale, dopo 8 MED di irraggiamento.
Per riportare le misure di laboratorio alle condizioni di effettivo utilizzo su una spiaggia si deve considerare ad esempio che l’irraggiamento in Italia a Luglio ha dei picchi dell’ordine di 1000 W/m² e per raggiungere una esposizione pari a 2 SED ( 1 MED per pelli chiare e sensibili ) sono sufficienti circa 15/20 minuti.
Sono valori che possono giustificare l’indicazione che alcuni prodotti danno di riapplicare il prodotto dopo 2/2,5 ore. Siamo molto lontani dalle 10 ore che verrebbero con un SPF30 moltiplicano per 30 una MED al sole estivo di 20 minuti.
Prodotti meno fotostabili, con una efficienza residua sotto al 60% dopo 8 MED ( solo 1 su 10 nei 107 campioni testati ) andrebbero riapplicati prima.
Nessuno dei prodotti testati recentemente mostra un degrado nell’efficienza della protezione da richiedere la riapplicazione dopo 20 -30 minuti come indicavano alcune ricerche.
Sostantività | ↑ |
I cosmetici sulla pelle possono evaporare e le forze che li tengono aggrappati possono non resistere ad un leggero sfregamento. Poi tra sudore e acqua molte di queste forze adesive vengono ridotte se non annullate.
La perdita per evaporazione di quasi tutti i filtri solari è veramente minima ma non irrilevante specie per alcuni filtri organici a basso peso molecolare. Questi però proprio perché possono parzialmente penetrare lo strato corneo godono di un effetto reservoir che il formulatore deve considerare se vuole garantire che la penetrazione transcutanea sia minima. Quelli che proprio non evaporano in tempi inferiori alle ere geologiche sono i filtri minerali, che però hanno molti limiti nella adesività sulla superficie cutanea.
Anche per questo il rivestimento, coating, dei filtri minerali è particolarmente funzionale ed in formula si cerca di creare un adeguato effetto adesivo o filmogeno.
A parte specifiche formulazioni resistenti all’acqua, cioè che garantiscono una protezione anche dopo 2 o 4 immersioni in acqua di 20 minuti, il consumatore non viene informato sulla sostantività dei solari.
Oltre all’acqua ed al sudore poi si deve considerare che anche sabbia, asciugamani ed altri sfregamenti rimuovono facilmente la protezione solare.
Impossibile quantizzare quanto se ne rimuove, ma è ragionevole raccomandare la riapplicazione dopo aver fatto il bagno o con tempi dimezzati se si suda molto o si entra a contatto con sabbia, teli, asciugamani ecc.
Conclusione | ↑ |
Come indicato dalla raccomandazione europea, tutti i solari è meglio riapplicarli frequentemente in caso di esposizione solare prolungata. Quanto frequentemente dipende da alcune condizioni specifiche: il tipo di solare, quanto può essere rimosso da sudore, acqua, asciugamani ecc.
A titolo prudenziale è ragionevole programmare una riapplicazione ogni 1 o 2 ore di esposizione ed ogni volta che si è fatto il bagno o la doccia o ci si è asciugati con asciugamani.
La riapplicazione ristabilisce il valore di protezione originaria, pertanto protezioni non alte, sotto la SPF30, su pelli chiare e molto chiare possono richiedere riapplicazioni più frequenti.
La maggioranza dei solari delle grandi produzioni superano i test di fotostabilità, soprattutto da quando alcuni brevetti L’Oreal per stabilizzare l’avobenzone sono scaduti. La fotostabilità rispetto ai raggi UVA risulta comunque più complessa.
La maggiore sostantività delle formule resistenti o molto resistenti all’acqua può tradursi in una protezione più prolungata.
I filtri minerali rivestiti (coated) sono più fotostabili dei filtri organici.
Rodolfo Baraldini
pubblicato 15 maggio 2016
Riferimenti:
Photostability of commercial sunscreens upon sun exposure and irradiation by ultraviolet lamps
Photoprotective efficacy and photostability of fifteen sunscreen products having the same label SPF subjected to natural sunlight
Film thickness frequency distribution of different vehicles determines sunscreen efficacy..
Calculation of the sun protection factor of sunscreens with different vehicles using measured film thickness distribution – Comparison with the SPF in vitro.
WHO, 2006, “Solar Ultraviolet Radiation Global burden of disease from solar ultraviolet radiation”
In vivo measurement of the photostability of sunscreen products using diffuse reflectance spectroscopy.
New Combination of Ultraviolet Absorbers in an Oily Emollient Increases Sunscreen Efficacy and Photostability
Comparative evaluation of different substrates for the in vitro determination of sunscreen photostability: spectrophotometric and HPLC analyses.
Photostability of UV absorber systems in sunscreens.
Are cosmetic products which include an SPF appropriate for daily use?
Photostability of UV absorber systems in sunscreens.
Need of UV protection and evaluation of efficacy of sunscreens.
Relevance of UV filter/sunscreen product photostability to human safety.
Photostability of commercial sunscreens upon sun exposure and irradiation by ultraviolet lamps
When should sunscreen be reapplied?
In vivo measurement of the photostability of sunscreen products using diffuse reflectance spectroscopy.
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